LA FRECCIATA

Sergio Conceiçao, cuore Lazio: "Allenerei chiunque ma non la Roma"

L'ex tecnico del Porto ai microfoni di Radiosei: "Questo posto mi ha riempito il cuore"

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Rimasto senza squadra dopo l'addio al Porto, Sergio Conceiçao non sa ancora dove allenerà in futuro ma è certo della squadra in cui mai andrà. "Mi viene la pelle d'oca quando sento parlare dei miei gol con la Lazio. Non ho mai dimenticato la Lazio. Mi sono divertito molto, mi è rimasta nel cuore - ha spiegato ai microfoni di Radiosei - Sono un professionista, non so mai dove andrò a finire. Questo posto, senza dubbio, mi ha riempito il cuore. L’anno scorso in Champions League durante una diretta ho detto e continuo a dire “Forza Lazio”. Devo guardare avanti, allenerei qualsiasi squadra, ma sicuramente non la Roma (ride, ndr)".

Sergio Conceiçao è stato anche in lizza per la panchina del Milan, che poi ha virato sul connazionale Fonseca. Poi è sfumata anche la panchina del Marsiglia, che ha scelto De Zerbi. In Italia vestito le casacche di Lazio, Parma e Inter e per i tifosi blucerchiati è un autentico idolo, anche ad anni di distanza.

Quella di Conceiçao è una vera e propria dinastica, visto che anche i figli hanno intrapreso la carriera da calciatore. Il pià famoso è Francisco, sbarcato in estate alla Juventus. "La nostra famiglia è una famiglia di calciatori, uno gioca a Cipro, un altro a Zurigo, poi c'è Moisés che gioca in seconda divisione in Portogallo. Francisco è diverso da me, è forte, è bravo nel dribbling, è forte nell'uno contro uno. Ha tanta voglia, vuole vincere sempre, ha fame. Cinque figli e tutti nel calcio. Josè che è il piccolino, gioca anche lui ma per divertirsi".

Non manca un omaggio a Sven Goran Eriksson, l'allenatore dello scudetto del 2000, l'ultimo della storia biancoceleste. "Siamo tutti d'accordo che Eriksson fosse una persona meravigliosa, tutti noi eravamo attaccati a lui. Era calmo nonostante la presenza di giocatori difficili caratterialmente. Eravamo un gruppo non facile da gestire, con Simeone, Couto e altri. Eravamo tutti attaccati, eravamo una famiglia quando scendevamo in campo per vincere. Ognuno aveva il proprio carattere e personalità, ma tutti con lo stesso obiettivo. Io volevo giocare tutte le partite e mi arrabbiavo quando restavo in panchina. Era un ambiente molto competitivo, tutti erano fortissimi. Mi dispiace solo che non abbiamo vinto la Champions League, è un rammarico perché abbiamo vinto tutto. Meritavamo di arrivare in finale".

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