Per carità. L'allenatore. I giocatori. La dirigenza. Ma quello che servirebbe oggi, al Milan, subito, è uno psicologo. Da mettere a disposizione innanzitutto di noi tifosi, sottoposti a una prova ormai di difficoltà estrema, forse insuperabile. Giochi male e non tiri in porta con l'Inter: ne becchi due, e perdi. Logico: ma era il derby, porca miseria. Giochi bene per 65 minuti col Torino facendo il doppio dei tiri in porta (totali) dei match precedenti: ne becchi due, e perdi. Contro una squadra che fino ai gol era stata lì, a guardare e prenderle. E tu che sei lì che finalmente ti stai gustando una buona partita della tua squadra, pensi che forse si stia imboccando la strada giusta, apprezzi qualche nuovo, tu milanista nel giro di quattro minuti, bam, ti becchi la nuova botta, il nuovo disastro.
E la morale è sempre quella: il Milan perde. Cinque partite, tre sconfitte, un campionato probabilmente già compromesso, ed è solo settembre. Considerando gli arretrati delle ultime stagioni, ce n'è abbastanza per dare di matto. Poi, però, lo specialista faccia un giretto a Milanello, e svolga un lavoro approfondito. Con squadra e allenatore, va capito quale recondito motivo impedisca di portare a termine lavori come quello di ieri sera. Perché ok la tattica, la condizione, gli episodi, l'arbitro, i complotti della notte scura, ma la verità è una sola: che il Milan, bene o male, ha sviluppato gioco e avuto occasioni per realizzare quattro o cinque reti e ne ha realizzata una sola, su calcio di rigore, senza contare situazioni favorevoli gettate alle ortiche per scelte sbagliate, errori tecnici evitabilissimi a questi livelli.
E ha finito per pagarla cara, perdendo comunque per il tilt provocato dal pareggio del Torino. Limiti? Colpa dei piedi, degli schemi? Può essere. Io ci metto invece soprattutto la testa, che si inceppa in tutti quando si tratta di essere concreti, dare il senso a uno sforzo. Era il 92', vero: ma se qualcuno mi spiega cosa passa nella testa di Kessié nel momento in cui, dopo essere stato mister freddezza nella preparazione, spara in curva a due metri dalla porta spalancata, ecco, io gli sarei molto grato. O cosa porta Piątek a sbagliare per inutile precipitazione gol facili, assist, stop, tutto. Non è forte come si pensava? Bene, ma non è possibile che non ne azzecchi più mezza. O ancora del perché Suso non rinunci a essere Suso in qualsiasi situazione, a recitare la stessa velleitaria e a volte indisponente parte. Perché questa insostenibile leggerezza delle teste rossonere? Solo uno psicologo, appunto, potrebbe spiegarlo. Non Giampaolo. Che ha visto finalmente calcio e un minimo di fisicità mettendo gente fresca, fisica, di gamba e ha poi smontato tutto nella ripresa togliendo Leao e Bennacer - forse gli unici da salvare con l’altra new entry Hernandez – contribuendo a mandare tutto in vacca. Non è tranquillo e si intuisce facilmente. Forse avrebbe bisogno di una sorta di ipnosi per trasformarsi in ciò che evidentemente non è – un sergente di ferro, un mastino, un motivatore, un leader – per provare a tirare fuori il meglio da questo gruppo leggero come l'acqua, che viene giù alla prima ventata cominciando (dolorosamente) da Donnarumma, lui quoque, apparso nervoso, frettoloso, incerto.
Apparentemente, lo psicologo non dovrebbe fare un salto anche a Casa Milan; o forse sì, perché potrebbe almeno aiutare, spingere a fare un esame di coscienza. Quanto la società, che in settimana ha lasciato molto a desiderare sulla comunicazione, ha aiutato e sta realmente aiutando Giampaolo? Sia Boban che il presidente Scaroni, lunedì sera alla Scala, non hanno contribuito certo a spargere germi di serenità soprattutto verso il tecnico. Ammesso e non concesso che il destino del mister non sia già segnato, forse Boban e Maldini dovrebbero – a porte rigorosamente chiuse – mettere la squadra davanti alle sue responsabilità. E ammettere le proprie, proteggendo innanzitutto l'allenatore, scelto da loro e non da altri. Comunque uno psicologo serve, davvero. E se comincia a servire anche un allenatore, bene, caccia allora a un allenatore-psicologo-comunicatore-dirigente, quattro stipendi in uno, così si viene incontro anche alle ristrettezze del bilancio. Uno con questi requisiti, vecchio sodale di Jorge Mendes, ci sarebbe, ma costa molto e soprattutto ha trascorsi non proprio compatibili col Milan. Mourinho. Ci mancherebbe solo lui, il colmo dei colmi per una tifoseria già da tempo sull'orlo di una crisi di nervi, unica condannata quando gli imputati sarebbero ben altri. Se Kafka vivesse ai nostri giorni, garantito che sarebbe un rossonero.