Jan Ullrich ha rappresentato per un decennio il fulcro del ciclismo mondiale insieme a Lance Armstrong. Un ciclismo purtroppo funestato dal doping e da quell'ossessionata ricerca di fare meglio, usufruendo anche di mezzi non propriamente legali. Il fuoriclasse tedesco ha pagato per quegli errori rivelando quanto è accaduto, tuttavia il corridore teutonico ha aggiunto nuovi dettagli in merito alla squalifica per l'Operacion Puerto e al suo legame con il dottor Eufemiano Fuentes.
"Il doping era qualcosa di comune e diffuso, il sistema era quello che era. Pensavo di non fare niente di diverso dagli altri. C’era un grosso problema nel ciclismo e io ero solo una parte del problema. Se l’avessi ammesso subito, non tutti avrebbero compreso. Il ciclismo era la mia famiglia. Non volevo coinvolgere né tradire nessuno, per questo sono rimasto in silenzio, ne ho assunto le conseguenze e ho chiuso la mia carriera - ha spiegato Ullrich in un'intervista rilasciata alla televisione pubblica tedesca WDR -. Ho potuto ammettere il doping quando è venuta alla luce la vera storia di Lance Armstrong, quando ci sono state molte più ammissioni, quando si è visto che non era un problema di pochi corridori, ma qualcosa di sistemico, quando il pubblico aveva già capito la dimensione del problema".
Ancora una volta Ullrich ha deciso di accordarsi al rivale statunitense, come sulle salite del Tour de France, e a quel punto scoprire il vaso di Pandora, tuttavia la decisione dell'ex capitano della T-Mobile non è legata al rapporto con i colleghi, ma anche con i corridori. "Prima ero sempre circondato da atleti, persone felici con uno spirito combattivo, ero pieno di energia, felice nella vita, e all'improvviso sono stato circondato solo da avvocati. Questo mi deprimeva. Poi tutto si è calmato e ci sono stati amici che mi hanno consigliato di uscire e parlare in quel momento, ma ero troppo debole, non volevo il clamore mediatico, ho perso la mia essenza e ho detto di no - ha sottolineato Ullrich -. Non ho avuto grandi cause legali o cose del genere, perché gli sponsor sapevano tutto. Non lo definirei 'silenziamento', ma mi hanno pagato bene, era un accordo comune affinché nessuno dicesse niente".
Tutto ciò non ha però aiutato il 50enne di Rostock che, una volta appesa la bicicletta al chiodo, ha dovuto far i conti con il demone della depressione prima di tornare a vivere a tutti gli effetti: "Negli ultimi anni il mio partner è diventato Johnnie Walker, il whisky. Ma anni più tardi, in una clinica di disintossicazione ho capito il messaggio fondamentale: 'Stai lontano da droghe e alcol, ti disumanizzano'. Dopo tanto scandalo dovevo cambiare qualcosa, così ho deciso di parlarne. Per me, personalmente, è stato bello, il carico è diventato molto più leggero e ora è più facile per me continuare con il mio lavoro. Il documentario è stata una vera e propria terapia audiovisiva. E ora ne posso parlare anche con i miei figli”.