La testa fa la differenza, a maggior ragione quando i valori in campo sono prossimi. Il Milan ha giocato il derby con una lucidità e un'intensità mentale che l'Inter non ha nemmeno sfiorato. Il Milan lo ha vinto meritatamente, l'Inter altrettanto meritatamente lo ha perso. Sillogismo elementare. Resta da capire come sia stato possibile che i nerazzurri abbiano potuto giocare una partita tanto importante sbagliando tutto quanto fosse possibile sbagliare: approccio, mentalità, atteggiamento tattico. E più in generale, solleva inevitabili dubbi l'altalenarsi di prestazioni convincenti ad altre decisamente sottotono: dall'Atalanta al Monza, a cavallo della pausa, dal Manchester City al Milan in questi ultima settimana, ad esempio.
Inzaghi, maestro nel colpire tatticamente Pioli, stavolta è finito nella rete di Fonseca: il cambio di modulo scelto dal tecnico rossonero ha mandato in tilt i nerazzurri. Eppure, è stata una variazione sostanzialmente annunciata, non una sorpresa dell'ultima ora. Ma nonostante questo l'Inter ha perso tutti i propri riferimenti sul terreno di gioco, in balia dell'avversario per l'intero match eccezion fatta per la parte centrale del primo tempo. Un derby giocato a velocità completamente diverse: basta un giorno in più di riposo dalle fatiche di Champions per giustificarlo? Sinceramente pensiamo di no. Entrambe le squadre, poi, arrivavano da partite ugualmente intense. La differenza l'hanno fatta la determinazione, l'applicazione e la rabbia agonistica. Questione di stimoli? E perché mai i rossoneri avrebbero dovuto averne di più? Sorpreso Inzaghi, si diceva: anche la gestione dei cambi, con un centrocampo interamente rivisto nel corso della ripresa, ha confermato le difficoltà di una serata nera. Errori individuali ed errori collettivi, tanti e tali da fare di quest'ultimo derby un unicum nella gestione inzaghiana. Ma come è possibile, allora, passare nel giro di quattro giorni dalla ferrea applicazione di Manchester al disordine di ieri? Appagamento? Presunzione? Deficit di concentrazione? Intendiamoci, nessun processo, anche perché sarebbe del tutto prematuro. Sicuramente però sono tutti campanelli di allarme a cui prestare attenzione. Di quella squadra feroce che l'anno scorso è passata come un rullo compressore sugli avversari ieri sera è mancato tutto. E proprio la storia recente del nostro campionato induce a riflettere con attenzione su questo, perché insegna quanto difficile sia ripetersi. E quali siano i rischi. Di buono c'è semmai che ora non ci sono un'Inter o un Napoli della stagione passata o di quella prima: la classifica è cortissima e un bottino pur tanto misero in classifica - solo 8 punti in 5 partite - non rappresenta un gap pericoloso dalla vetta. Ma resta sempre una magra consolazione di cui ad Appiano non ci si può assolutamente accontentare.