E' andato a "girarsi" dall'altra parte dell'Oceano, ma il suo cuore resta fermo sul prato verde di San Siro, tra i suoi vecchi compagni e i suoi tifosi. Olivier Giroud è rimasto milanista dentro perché, spiega alla Gazzetta, "ho lasciato una famiglia. Il Milan è uno dei più grandi club al mondo e io con quella maglia ho vissuto momenti indimenticabili. Rimarrò sempre un grande tifoso rossonero". E infatti Oli c'è anche da lontano, come quando ha parlato con i compagni in videochiamata dopo il derby: "Se l'ho visto? Come avrei potuto perderlo? Ho fatto una videochiamata e festeggiato insieme. E' stato bellissimo".
Il derby è però scivolato via. E' arrivata una vittoria importante e significativa contro il Lecce, la squadra di Fonseca si è tirata su in classifica ed è pronta a rituffarsi nella Champions. Ma con quali ambizioni? "La società ha fatto un grande mercato. E chi c'era già è partito alla grande, come Pulisic. Tra un mese capiremo meglio: se il Milan sarà ancora tra le prime e la classifica rimarrà corta, vedo punti di contatto con il mio scudetto. Il punto di forza? L'attacco. Sono andato via io ma hanno diversificato bene... Morata, Abraham, Rafa, Pulisic, Jovic, Okafor, Chukwueze. Quanti sono, sette? Non so se in Italia e in Europa ci sono squadre che possono vantare tanta varietà e complementarietà".
Già, l'attacco. Morata e Abraham quindi...
"Funzionano alla grande. Tammy lo conosco dai tempi del Chelsea, ha voglia e determinazione. Alvaro ha portato la cultura spagnola: non solo gol, è un 9 che arretra, costruisce, facilita la manovra, lega attacco a centrocampo. Leao? E' un leader tecnico, trascina sul campo, come Theo, ma ognuno ha la sua personalità e non si può forzare il carattere di un ragazzo aspettandosi carisma a tutti i costi. Per quello c'è Maignan".
Anche perché quello non manca di certo a Ibra, il "boss"...
"E dove sta la novità? Ibra è Ibra, anche da dirigente..."