VOLLEY E NON SOLO

Velasco: "A Parigi vinto perché abbiamo giocato meglio. Avrei difeso Egonu alla morte"

"All'Italvolley servivano solo sicurezza e tranquillità, ci stiamo rendendo solo conto adesso di quello che abbiamo fatto"

Al Festival dello Sport di Trento è intervenuto anche Julio Velasco per raccontare lo straordinario successo a Parigi 2024 alla guida della nazionale di volley femminile e la sua visione dello sport e del ruolo di allenatore a 360 gradi. "A Parigi abbiamo vinto perché abbiamo giocato meglio degli altri - ha spiegato il ct azzurro -. Questa è stata la cosa decisiva. Poi c'è la parte psicologica, il gruppo". "A Paola Egonu ho detto che l'avrei difesa a morte sul tema dell'integrazione, ma che sul resto sarebbe stata come tutte le altre - ha aggiunto -. So cosa vuol dire diventare un personaggio e molto spesso il personaggio ci rompe le scatole, ha vita propria ed è molto difficile rapportarsi con la gente perché c'è sempre lui di mezzo". 

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"'Tu sei Paola Egonu, il personaggio', le ho detto. 'Io voglio parlare di Paola'. E poi abbiamo parlato di tutto", ha proseguito Velasco spiegando come ha riportato la schiacciatrice azzurra in nazionale dopo un periodo di crisi prima dell'Olimpiade di Parigi 2024. "Questa ragazza, quando si parla di integrazione... Il popolo italiano è un popolo fantastico, accogliente, che ti fa stare bene - ha aggiunto -. Però è un popolo che ha sempre migrato. L'immigrazione è recente quindi secondo me tanti non si rendono conto di cosa vuol dire essere straniero in un'altra terra". "A me davano del lei quando a 33 anni andavo in questura qui in Italia per la cittadinanza, a quelli di colore davano del tu. E questo si nota - ha continuato -. Queste ragazze hanno a volte delle reazioni o delle sensazioni, e sono in guardia, perché hanno vissuto tante cose da piccole e ora che sono famose non si possono permettere più niente".

Poi ancora qualche considerazione sull'impresa a Parigi 2024. "Quando L'Italia ha vinto l'Europeo con Mancini nel 2021 a questi ragazzi chiedevano quel è il segreto di questa vittoria. Il gruppo, il gruppo unito. Giocare come fratelli - ha detto Velasco -. Io ascoltavo con grande ammirazione e pensavo: ma se il gruppo è molto unito e poi giocano male vincono?". "Il gruppo va bene, se è unito è meglio, quello che è imprescindibile è giocare meglio dell'avversario - ha spiegato ancora -. E noi lo abbiamo fatto perché abbiamo lavorato tantissimo, ad esempio su battuta e ricezione". "Come diceva Johan Cruijff non c'è cosa più difficile di giocare semplice - ha aggiunto -. Molte volte negli allenamenti ci sono poche battute e poche ricezioni. Quindi quello lo devo allenare molto, e così via. Come tante altre cose".

"È la prima volta dopo la vittoria che riguardo le immagini. Un po' perché non vado a vedere indietro e poi non ho avuto l'opportunità e devo dire che mi sono emozionato - ha proseguito Velasco riavvolgendo un po' il nastro dei ricordi alla guida dell'Italvolley femminile a Parigi -. Noi ci stiamo rendendo conto adesso di quello che abbiamo fatto. Ma lì, partita per partita, punto a punto...". 

"Noi allenatori dobbiamo trasmettere alla squadra quello di cui ha bisogno. Questa squadra veniva da un anno difficile, era molto chiacchierata e aveva bisogno di tranquillità. Di combattere l'ansia, di vivere momento su momento - ha spiegato il ct azzurro -. Non c'era bisogno di motivarle ma di trasmettere sicurezza e quindi ho cercato di restare impassibile, ma dentro di me è diverso". "L'allenatore è un buon attore, deve trasmettere qualcosa e deve scegliere cosa, a volte azzecchiamo la scelta a volte a no - ha proseguito spiegando la sua visione del ruolo del tecnico -. Io non credo nei discorsi che non hanno consistenza, una verità dietro. A un allenatore devono piacere le sua giocatrici, perché sono le sue. Come i figli". "Se mi piacciono quelle degli altri, come succedere ad alcuni allenatori, è difficile che la squadra sia convinta e abbia autostima, abbia la forza di affrontare altre squadre che sono più forti sulla carta - ha aggiunto -. Bisogna giocare meglio degli altri".

"Noi allenatori rispetto a chi ha giocato non facciamo nulla, il nostro lavoro è convincere gli altri. Quindi è assolutamente negativo mettersi come esempio. Ognuno è diverso da me non è come me - ha continuato -. Dobbiamo insegnare, i ragazzi devono giocare liberi, non giocare guardando la reazione dell'allenatore". "Se succede vuol dire che nel processo educativo, lo penso anche per i figli, c'è qualcosa che non va. Dobbiamo educarli non difenderli al punto che dipendono da me - ha aggiunto -. Io ho detto alle ragazze che voglio giocatrici autonome che sanno cosa fare, anche autonome da me", ha detto ancora l'allenatore azzurro.

Infine qualche battuta e considerazione anche sul mondo del calcio. "L'esperienza nel calcio è stata molto interessante. Anzitutto perché io sono un calciofilo. Come molti giocatori di pallavolo, siamo calciatori frustrati - ha spiegato -. Infatti non credo in quelle frasi tipo 'se credi puoi' altrimenti avrei giocato da numero 10 nel La Plata". "Però è stata un'opportunità unica, ho fatto il dirigente con Eriksson e Lippi, mi è servito molto anche per vedere le cose dall'altra parte - ha continuato -. Ma mi è servito anche per capire che io sono un tecnico. Infatti ho deciso di tornare ad allenare perché è la mia passione e finché non mi mandano via lo farò". Chiusura sul confronto Maradona-Messi. "Meglio Maradona perché è della mia epoca e aveva una forza di viversi mostruosa e Messi ce l'ha però meno forte. Maradona, come tutti i grandi campioni, coi metodi di adesso, sarebbe il migliore - ha concluso -. E poi è stato uno solo, perfino con la cocaina è riuscito a giocare ad altissimi livelli".

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