Sei un runner-lucertola che ama crogiolarsi "attivamente" su sassi, creste e placconate di roccia oppure un "ranner" (scritto così, nel senso dello sportivo... anfibio) che predilige corse antelucane o crepuscolari tra fango, faggete sgocciolanti e atmosfere "spleen"? Nessun dubbio, nessuna esitazione: la prima che hai detto! Eccomi quindi su un volo rotta per la Sardegna, la Barbagia, Oliena. Anzi, Oliena SkyTrail. Mi lascio alle spalle l'autunno duro per tuffarmi tra le braccia di una coda d'estate che accarezza piacevolmente le membra e apparecchia un intero fine settimana in una terra che amo, tra gente che mi fa sentire a casa già alla prima stretta di mano.
"Nei monti di Oliena, nei contrafforti calcarei dai picchi acuti di un azzurro latteo che si confonde col cielo, esistono grandi crepacci - ricordi di antichissime convulsioni vulcaniche - di alcuni dei quali non si distingue il fondo. Vengono chiamati sas nurras, e volgarmente si crede che siano misteriose comunicazioni dell'inferno col mondo. Di là escono i diavoli per scorrazzare sulle bianche montagne in cerca di anime e di avventure".
Così Grazia Deledda descrive i crepacci “tipici” di Oliena, cittadina della Barbagia a poca distanza dal suo capoluogo di provincia Nuoro, della quale la scrittrice sarda Premio Nobel per la letteratura del 1926 (ormai quasi un secolo fa: seconda donna in assoluto, unica italiana) era originaria. Diavoli in cerca di anime io per fortuna lungo l’itinerario di Oliena SkyTrail 2024 (e del suo formato Husidore Skyrace in particolare) non ne ho incontrati… Quanto alle avventure, quelle vissute nello straordinario scenario carsico, dolomitico e… da Far West del Supramonte me le porto dentro, me le tengo ben strette e non vedo l’ora di poterle rivivere e ri-correre.
Forse più ancora dei suoi selvaggi scenari montuosi, ogni volta che vi faccio ritorno, della Sardegna sono proprio le profondità a colpirmi: quelle naturali (ma non solo) descritte da Grazia Deledda a proposito di Oliena ma anche quelle (dell’animo umano) scandagliate da Giuseppe Dessì, altro figlio prediletto dell’isola e della cittadina di Villacidro, che i suoi stessi compaesani mi hanno fatto scoprire. Paesaggi naturali e natura umana: quella del popolo sardo.
Finisce che lo skyrunning si riduce a poco più di un pretesto per immergersi in un “brodo” denso di emozioni e sensazioni, di profumi e di ulteriori suggestioni multisensoriali alle quali è piacevolissimo abbandonarsi, nelle quali è piacevolissimo perdersi. Lì e solo lì però! Sui sentieri invece è meglio tenere gli occhi ben aperti. Per non smarrire la traccia e più ancora per non perdermi nulla di ciò che mi circonda: non un sasso aguzzo sotto la suola delle scarpe, non un ramo che mi graffia la gamba, non un raggio di sole che scalda pelle, muscoli e cuore.
Natura, cultura, arte, storia, letteratura e poi lo sport. Manca qualcosa? Beh sì, magari la prossima volta uno o due giorni di ferie da “attaccare” in testa o in coda all’impegno sportivo, per un assaggio (anche fuori stagione) della Sardegna più “facile” e turistica: quella delle sue coste, delle sue spiagge e del suo mare. E perché no poi?
It’s fun out here, I am not coming in. (È così bello qui, forse non torno)
("The Girl That I Call Home" - Tears For Fears)
I dettagli dell’operazione li metto a punto rapidamente con lo staff di ASD Oliena Outdoor e in particolare con Andrea Corrias nel corso dell’estate. In quattro e quattr’otto siamo d’accordo. Poi tocca contare le settimane che mi separano dall’approdo in Sardegna, anzi dell’atterraggio a Olbia. A proposito, mi sono dimenticato di chiedere ai "local" come mai tante località della Sardegna hanno un “attacco” così... tondo: Olbia, Oliena, Ozieri, Orosei, Oristano. Mah! Oliena tra l’altro (leggo) deriva da Uliana, Iliena, Ilio. La leggenda vuole infatti che sia stata fondata da un gruppo di esuli troiani.
Più prosaicamente, scopro subito che Oliena non ha un solo metro in piano e le sue viuzze più interne sono strette, anguste, quasi intime e segrete. Potrei anche aver fatto più dislivello in su e in giù tra Piazza Santa Maria (campo base dell’evento) e il mio alloggio nella parte alta del paese che non nella Skyrace. Tutto allenamento!
La giornata centrale (sabato 12 ottobre) è dedicata a due prove tra loro molto diverse: il corribile... (di nome e di fatto!) Corrasi Trail da 17 chilometri e il Chilometro Verticale V-Karabidda che scala la punta omonima, lungo la stessa cresta che culmina nel Monte Corrasi, con i 1463 metri della sua vetta la massima elevazione del Supramonte. Avendo scelto di prendere parte alla Husidore SkyTrail domenicale da 24 chilometri che scatterà due ore dopo la Ultra Sky Supramonte da 50 chilometri (52 effettivi, mi dice chi li ha collezionati tutti), dedico la mattinata ad un allenamento sul tratto iniziale della mia prova, per fare poi rientro alla base innestandomi su quello (ugualmente iniziale) della camminata non competitiva Hiking Supramonte, affrontato però a ritroso.
Mi fa compagnia nel primo tratto Donatello Rota, preparatore atletico e lui stesso atleta di ottimo livello, reduce dal secondo posto nella neonata 100K del Tor des Géants che (ne sono certo, grazie Donatello) procede con il freno tirato per non lasciarmi subito indietro. Insieme a Matteo Casula, Donatello modererà (ma non solo) qualche ora più tardi la serata dedicata agli aspetti più diversi della corsa in natura che mi vede coinvolto per quanto riguarda la comunicazione.
Poi si va a nanna: la giornata di domenica 13 ottobre si preannuncia parecchio impegnativa: per chi corre, è ovvio, ma anche per gli organizzatori, per chi si occupa della cucina, della sicurezza e per lo stesso Donatello, instancabile speaker per un numero imprecisato di ore (e di provvidenziali lattine di Coca-Cola) nell’arco di due giorni, nonché “ricognitore” finale dei tracciati di gara!
La sveglia è molto comoda: suona alle sette in punto, ora alla quale i concorrenti della Ultra SkyMarathon stanno già scalpitando sul primo chilometro (cittadino) della loro prova. In realtà ho gli occhi aperti già da un pezzo: ‘sta storia dell’agitazione pre-gara inizia a farsi preoccupante. Rotolo letteralmente giù dal letto sfiorando con la testa lo spigolo del comodino e penso: ok, a questa mettiamo subito la doppia "spunta", basta che poi non ricapiti nelle prossime cinque o sei ore. Poi abbondante colazione nell’appartamento che divido con Donatello, con il cronometrista di Wedosport Fabio e con Andrea Cossu, simpaticissimo trailrunner di Macomer.
Studiata come al solito ma poi ormai da tempo mandata a memoria, la vestizione porta via a dir tanto due minuti. Anche perché il cielo è sereno, le temperature sono destinate a raggiungere i trenta gradi e di conseguenza l’abbigliamento è minimal, anche se nello zainetto c’è (da regolamento) tutto quello che serve per fronteggiare gli imprevisti e l’ambiente montano. Che fortuna - per un "lizard runner" come me, appunto - essere a centinaia di chilometri dal “tempo da rane” di cui all'inizio. Infilo le Cascadia 18 di Brooks che sono alla seconda gara dopo la Frasassi Skyrace del primo sabato di settembre e ne stringo i lacci. Operazione che prima del via ripeterò maniacalmente almeno altre cinque volte…!
Siamo fuori (dall’abitato di Oliena) in cinque minuti e molti di noi - siamo in centoventi - già con il fiato corto, me compreso. Conosco già (per averli provati alla vigilia) i primi tre chilometri, quindi infilo ad occhi chiusi il primo bivio serio tra mulattiera e sentiero, cosa che una ventina di frontrunners già impegnati a scannarsi non fanno, tirando dritto per poi dover tornare sui loro passi e… anche sui nostri, visto che dobbiamo lasciarli passare sullo stretto sentierino single-track.
Tutta una rampa in salita fino al successivo bivio dove la nostra sky prende a sinistra e giù in discesa (o meglio a saliscendi) su sentiero a tratti bello tecnico che oltrepassa la biforcazione della prova Hiking e allunga verso nordest per un traverso a mezzacosta ancora nella macchia. Il terreno sotto i piedi inizia però a farsi “sassoso”, preannunciando il piatto forte del menu di giornata: i canyon, le gole e i contrafforti rocciosi del Supramonte. Davanti a me un collega "monta” un paio di Ande in versione pacco-gara della ResegUp dello scorso mese di giugno.
“Sei di Lecco?”
“No, sono sardo di Lula ma vivo a Muggiò”.
Non finisce mai, poi però… finisce. Svolta secca a destra ben presidiata (meno male, diversamente si sarebbe tentati di tirare dritti cullati dai saliscendi e finire direttamente... a Olbia!) e si sale senza più incertezze tra la vegetazione che via via si dirada, le pietraie bianchissime e le pareti verticali che si fanno sempre più incombenti. Scolliniamo e puntiamo a sud in mezzo alla vegetazione sempre più bassa per difendersi dalla forza del vento ma soprattutto profumatissima: non potrei trovarmi in un posto più bello per correre (ok, solo a tratti, diciamo camminare spedito). Bellezza della Sardegna più interna, direi quasi "interiore". Davanti agli occhi una lontana barriera di rocce. Mi dico: arrivare lassù sarà dura. Poi, come a volte capita, da dietro la cresta sbuca un tizio… gigantesco e mi accorgo che… l’immensa bastionata era solo una innocua paretina che raggiungo in due minuti e scavalco in pochi passi!
Il miraggio si ripresenterà un altro paio di volte nei prossimi due o tre chilometri ma ormai so che c’è il trucco. Mi accompagno ad un paio di colleghe local (Paola e Annalisa) alle quali lascio volentieri il compito di fare strada, deliziandomi con la musicalità della loro conversazione in un dialetto (o forse più d’uno) del quale capisco (anzi continuo a capire) ben poco. Ho studiato al liceo linguistico, qualche lingua la padroneggio ma il sardo per me resta un codice cifrato, quasi una forma di difesa dall'esterno che racconta qualcosa sul carattere aspro e riservato di questa terra. Non a caso per i sardi la Sardegna è una nazione.
Una valletta dopo l’altra ci addentriamo nel cuore del massiccio: una fortezza quasi inaccessibile verso ovest, molto più aperto e “indifeso” invece verso est e il lontano Mar Tirreno. Un anfiteatro dalle mille suggestioni. Le “onde” di roccia successive sembrano non finire mai, poi… finiscono e approdiamo allo snodo-chiave di Pradu e al suo ristoro.
Assaggio un po' di formaggio e una fettina di salame che… se non fossi di fretta ne divorerei venti. Saluto il coinquilino Andrea di Macomer che presidia la "aid station", poi mi avvio sul sentiero che si impenna e “corteggia” lungamente i fianchi del Monte Corrasi.
Come faceva la canzone? Ah sì: È così bello qui, forse non torno.
Scollinamento con tanto di “chippaggio” elettronico e ci affacciamo di nuovo sul versante interno barbaricino. Rotta su Oliena, tutta o quasi in discesa, con un tratto iniziale bello tecnico e sconnesso. Perdiamo quota ma non si abbassa la guardia. Compagna di viaggio è ora la collega elvetica Dany Nadine, con la quale ci alterniamo a fare l’andatura e a procedere "al gancio". È tutto un cerimonioso e classico: "Vuoi passare avanti? No grazie, sto benissimo qui".
Di nuovo nel fitto del bosco. Tocca tenere gli occhi aperti perché ci saranno trenta gradi all’ombra (appunto) e i raggi che filtrano tra i rami creano strani effetti di luce (e ingannevoli) sul terreno. Più sotto approdiamo in piena festa (forse un matrimonio). Il volontario “tentatore” al ristoro mi invita a mollare tutto e unirmi alla grigliata. Che profumino, mi fermerei davvero! Riparto un po’… malvolentieri, confortato da una certezza: all’arrivo il cuoco (con il quale ho opportunamente stretto amicizia) mi ha promesso una razione strabordante di cinghiale. Per non parlare dei fusti di birra che ci attendono!
Ormai in vista dei tetti del paese, la mia “partner” elvetica si smaterializza da un momento all’altro. Boh, tiro dritto, ne acchiappo e lascio indietro inaspettatamente due o tre negli ultimi chilometri, oltrepasso il murales cittadino dedicato a sir Gianfranco Zola (originario proprio di Oliena), ricevo l’incoraggiamento (“Dai che è fatta!”) di una ragazza sui gradini della chiesa dedicata a Sant’Ignazio di Loyola e poi sono alle ultime svolte secche tra le case addossate le une alle altre.
La direzione me la indica un gruppo di persone sedute ai tavolini di un bar. È una scena che ho già vissuto, quasi una scena da film. Oliena peraltro è stata più volte una movie location. Poi solo più la volatona giù per l’acciottolato e il multicolore arco d’arrivo. Donatello mi vede un po’ provato. Direi più che altro finito!
A differenza di tanti che tagliano il traguardo e subito si dileguano fuori dal recinto, io ci rimango dentro cinque minuti buoni a vedere arrivare quelli che mi seguono in classifica, anche solo per una stretta di mano o una pacca (piano!) sulla spalla. Perché poi non è che queste cose capitano (anzi, si fanno) tutti i giorni. Non ho più fretta, non devo andare da nessuna parte, quindi rimango lì. Me la sono sudata a litri, me la voglio godere fino in fondo!
Seduto a terra alla base dei gradoni del campo base di Piazza Santa Maria il tedesco Jonas - un ragazzone ben piantato - ha da poco portato a termine la UltraSky. Con le lacrime agli occhi, è in preda agli spasmi da crampi. Lo conforta la collega e fidanzata Silvia: uno scricciolo di ragazza sorridente, ma forse è solo il ghigno della fatica che non si è ancora decontratto ed è restio ad abbandonare gli angoli della bocca (anzi del sorriso). È arrivata da poco: diciannovesima, davanti a lui e a tanti altri. Peserà sì e no cinquanta chili (suppergiù uno per ogni chilometro della sua gara), Silvia from Villacidro, ma sotto la carne deve essere fatta di acciaio. Abbassa lungo i fianchi (peraltro inesistenti) la cintura portapettorale e se la sfila noncurante dai piedi con movenze lente, quasi studiate eppure del tutto spontanee. Va alla vicina cucina da campo (dove il "mio" cinghiale è quasi pronto) e torna con una manciata di sale da sciogliere nell'acqua per Jonas, nel frattempo assistito da un provvidenziale fisioterapista che passava di lì per caso... Silvia gli mette una mano sulla fronte sudatissima e fredda. Non lo perde di vista neanche quando la chiamano sul podio lì a pochi metri. "Dove devo andare?" È arrivata terza donna e forse non se ne era nemmeno resa conto. Poi torna con il trofeo sottobraccio da lui che si è un po’ ripreso e prova a stare dritto tipo puledrino appena nato sussurrandogli, dolce ma risoluta: “Dai, andiamo”. Beh, cosa dire, se non (con De Amicis): Amore e... ginnastica!
Di queste cose (di tutte queste cose) non riesco proprio a fare a meno, non ancora. Anche se mi mettono agitazione e poi va a finire che cado dal letto alla mattina presto.
It’s fun out here, I am not coming in. (È così bello qui fuori, forse non torno)