Qualcuno aveva già iniziato a collocare in alto l'Atalanta nel precampionato. Stesso allenatore, buona campagna acquisti (per un Koopmeiners che saluta tanti arrivi eccellenti come Bellanova, Samardzic, Zaniolo e il capocannoniere Retegui) e un impianto già collaudato, mentre le altre grandi, Inter a parte, costrette a pagare il dazio del tempo che inevitabilmente segue il cambio della guida tecnica. In pochi si sarebbero aspettati, però, un cammino così da Lazio e Fiorentina.
Appaiate alla Dea a meno tre dal Napoli e a meno due dall'Inter, si ritrovano a un passo dalla vetta con la possibilità domenica prossima di avvicinarsi ancora, visto che l'Atalanta ospita l'Udinese, la Fiorentina il Verona e la Lazio va a Monza, mentre la prima e la seconda in classifica si affrontano nello scontro diretto di San Siro. I numeri, che per qualcuno servono a poco ma sono una delle poche certezze pratiche per valutare una squadra, non fanno altro che confermare il loro momento esaltante. La Dea ha il miglior attacco, a quota 29 reti fatte, i biancocelesti sono al terzo posto con 24 e i viola al quarto con 22. La squadra di Palladino può vantare anche la terza migliore difesa (insieme all'Empoli): è l'unica, con Juventus, Napoli e la formazione di D'Aversa, a non essere in doppia cifra nei gol subiti.
Baroni è riuscito a dare un'impronta precisa da subito, nonostante partenze illustri e un mercato non particolarmente esaltante. In più, anche con una rosa non al livello delle grandi, si può permettere un costante turnover, che non incide più di tanto nelle logiche di gioco dei suoi. Partito con il 4-3-3 si è adattato alla squadra ed è passato a un 4-4-2 con le punte spesso in verticale, un gioco che passa costantemente dall'esterno e che prevede una serie di smarcamenti fuori zona, come li ha chiamati lo stesso allenatore laziale quando ha affermato in un'intervista che "il calcio posizionale è morto". In effetti con le marcature a uomo a tuttocampo in pressione, diventano più importanti il movimento, il sovraccarico di una zona e il cambio di gioco, piuttosto che la ricerca di chi sta oltre un reparto avversario.
Anche Palladino ha variato in corsa il suo sistema di gioco, rinunciando ai tre difensori e ai due trequartisti stile Monza, per passare a un 4-2-3-1 molto particolare, che non disdegna la ricerca della profondità già dai difensori (vedi gol di Kean a Torino). I centrali davanti alla difesa sanno contrastare concedendo poche azioni pulite agli avversari. Trovata la quadra con Cataldi e Adli, Palladino ha saputo far fronte alle assenze potendo contare su Richardson, Mandragora o Bove. La formazione tipo, comunque, prevede l'ex romanista sulla trequarti sinistra con Colpani dall'altra parte. In pratica due centrocampisti adattati a esterni con la possibilità di entrare dentro il campo in fase offensiva e dare un contributo notevole in quella difensiva (si spiegano anche così i pochi gol presi). Senza l'apporto di Gudmundsson, e aspettando il suo ritorno, c'è Beltran a dare supporto al rinato Kean. L'ex juventino è l'arma in più che consente la ricerca della profondità diretta o lo sfruttamento della sua capacità di difendere palla e permettere gli inserimenti di chi arriva da dietro. In più, Palladino può variare a partita in corso, dando un maggiore impulso offensivo alla sua squadra, soprattutto sulle fasce, mandando in campo Kouamé, Ikoné o Sottil.
Con un Napoli che deve ancora assimilare in pieno le logiche contiane, un'Inter distratta dall'Europa e una Juve che sembra sempre un cantiere, ci sono tre squadre che hanno tutto il diritto di sognare.