BASKET

Mannion: "Mi piaceva Nash, ho giocato con Curry. E quando ho incontrato Kobe..."

Nella lunga intervista concessa a Olimpia Tv, il nuovo playmaker dell'EA7 parla anche delle sue origini: "Anche in America mi sono sempre sentito italiano"

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Nico Mannion si racconta a cuore aperto a Olimpia Tv e racconta dei suoi inizi, del rapporto col padre Pace, della sua avventura in NBA e non solo.

Ecco i passaggi più interessanti.

NICO E PAPA' PACE

“Non l’ho mai visto giocare. So qualcosa, che mi hanno raccontato, gli allenatori, i tifosi. Oggi è il mio più grande critico e al tempo stesso il più grande tifoso. Mi piaceva Steve Nash, ma non solo lui. Guardavo un po’ tutti i giocatori. Io e mio padre guardavamo le partite insieme e lui mi faceva notare cosa succedesse in campo, mi diceva hai visto perché ha passato, hai visto perché ha tirato? Se c’è un aiuto allora il passaggio giusto è questo o quello, ed ero molto molto piccolo. Avevo sette, otto anni, mi piaceva e lo facevamo spesso”.

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NICO E L'ITALIA

"Ogni estate tornavo in Italia. I parenti dalla parte di mia madre non conoscevano l’inglese quindi con loro parlavo italiano per sei settimane. E mia madre mi parlava in italiano quindi anche in America mi sentivo abbastanza italiano. La cultura italiana a casa mia c’è sempre stata, mia madre cucinava italiano. Ad esempio, a cena, in America tutti mangiano da soli, separati. Noi no. Mangiavamo tutti assieme, da famiglia, come si fa in Italia, senza il telefono a portata di mano. In Italia è normale, ma in America non lo è. Sono sempre stato italiano”.

NICO E I GOLDEN STATE WARRIORS

“La cosa più bella è stato vedere come certi campioni lavorano ogni giorno. Tutti possono vedere le partite, ma vedere ogni giorno da quando arrivano a quando vanno via come lavorano ti fa capire perché Steph Curry è uno dei più grandi giocatori di sempre; perché Klay Thompson è uno dei più grandi tiratori del mondo; perché Draymond Green è un campione”.

NICO E L'INCONTRO CON KOBE BRYANT

“Ero piccolo, piccolissimo. Vivevamo a Salt Lake City. Erano i playoff. I Lakers vinsero la partita e chiusero la serie contro i Jazz. Dissi a mio padre che avrei voluto conoscere Kobe Bryant. Mi suggerì di aspettarlo nel tunnel, da dove escono, perché sarebbe passato di lì. Disse anche che Kobe conosceva l’italiano e se gli avessi detto qualcosa in italiano forse avrei attirato la sua attenzione. Fu così. Si fermò qualche minuto, mi prese in ginocchio. Non parlammo di basket, ma di vita. Mi chiese come andavo a scuola, mi chiese se ascoltassi i consigli dei miei genitori. È un episodio piccolo, ma me lo porterò dentro per sempre”.

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