La morte in campo. A volte, per fortuna, soltanto sfiorata. Altre volte no. Il primo lutto (in partita) del calcio italiano è datato 30 ottobre 1977: durante Perugia-Juventus si accascia in campo Renato Curi, 24enne centrocampista della squadra umbra, stroncato in pochi minuti da un arresto cardiaco fulminante.
Il 22 novembre del 1981 tocca a Giancarlo Antognoni: durante Fiorentina-Genoa il fantasista viola si scontra violentemente con il portiere avversario Martina, e perde conoscenza. Per fortuna, nonostante una doppia frattura cranica, viene rianimato in campo e poi curato e guarito senza conseguenze.
Il 30 dicembre 1989, durante Bologna-Roma, ad accusare un infarto è Lionello Manfredonia, salvato dall’intervento dell’ambulanza, presente all’interno dello stadio.
Il 29 novembre 1998 a guardare in faccia la morte è Gianluca Grassadonia, finito in arresto cardiaco per un colpo alla testa accidentale, da parte di un avversario, durante Udinese-Cagliari. A salvargli la vita è il compagno di squadra Scarpi, il primo a soccorrerlo e a praticare le manovre salvavita.
Il 14 aprile 2012 nessuno invece riesce ad aiutare Piermario Morosini, che in Pescara-Livorno cade a terra improvvisamente: morirà in ospedale poco dopo, a soli 25 anni, a causa di una “rara malattia cardiaca ereditaria”.
Gli ultimi due nomi che hanno scioccato - in campo - il calcio italiano si chiamano Christian Eriksen e Evan N’Dicka. Il danese dell’Inter va in arresto cardiaco durante Danimarca-Finlandia di Euro 2021. Grazie a un’interminabile rianimazione si riprende, poi, dopo un lungo stop, torna a giocare con un defibrillatore sottocutaneo. Lo scorso aprile, infine, durante Udinese-Roma, a perdere conoscenza è N’Dicka: grande paura allo stadio e partita sospesa. Poi il difensore giallorosso si riprende in ospedale, dove verranno escluse patologie cardiache. Tornerà in campo due settimane dopo.