L'ANALISI

Inter, la cooperativa del gol avvisa il campionato: la differenza tra buona e grande squadra

Inzaghi manda in gol sei giocatori differenti e marca la differenza tra una buona squadra e una grande squadra

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Ci sono dettagli che marcano la differenza tra una buona squadra e una grande squadra. Uno di questi è la capacità di approfittare degli episodi, di afferrare l’occasione più scivolosa e girarla a proprio favore. È quello che l’Inter è riuscita a combinare nell’ultimo spicchio del primo tempo. L’uscita di Gila ha costretto Baroni a buttare dentro Gigot senza riscaldamento, Gigot ha pagato con un paio di errori questa situazione, è arrivato il rigore segnato da Calhanoglu e a quel punto la squadra nerazzurra ha capito perfettamente come cambiare il suo modo di stare in campo.

Se Lautaro e Thuram non sono in grado di fare la differenza, allora tanto vale trattarli da giocatori normali, in certe occasioni addirittura ignorarli, ad esempio in occasione del secondo gol, arrivato da un inserimento di Dumfries sulla destra, cross e tiro al volo di Federico Dimarco, comparso alle spalle di tutti. Quando la Thu-La va a pieni giri, l’Inter può permettersi anche qualche peccato di superbia. Quando non funziona, l’unico modo per girare le partite a proprio favore è indossare l’abito dell’umiltà, pensare un po’ da provinciale, lasciare agli altri un po’ di possesso e sfruttare le ripartenze. Senza trascurare quel pizzico di cinismo che non guasta mai. Azzannato l’episodio del rigore, raddoppiato il vantaggio con Dimarco, il secondo tempo è diventato una passeggiata, sempre senza passare dai due attaccanti, che a quel punto però non servivano più. Prodezza di Barella dalla distanza, poi colpo di testa perfetto di Dumfries su cross di Bastoni e veronica di Carlos Augusto imbeccato da Dimarco. Sei gol: tre dagli esterni, uno del regista e uno dal fantasista. Solo alla fine è arrivato il gol di Thuram, che non vedeva l’ora.

Sei gol da sei giocatori diversi, a testimonianza di un concetto che nelle ultime settimane suona come un ritornello fisso: “Inzaghi ha due squadre”. Forse ne ha addirittura tre, perché è capace di segnare sei gol anche in una serata che ha visto Lautaro Martinez sulla linea degli ultimi tempi, cioè un po’ defilato dal cuore del gioco, poco ispirato in fase conclusiva, presente più in spirito che in fisico. Probabilmente se avesse avuto un’alternativa seria, Inzaghi gli avrebbe concesso un po’ di riposo. Ma forse sarebbe stato peggio. I campioni, si sa, possono accendersi da un momento all’altro e la storia del toro argentino parla chiaro in questo senso. Lautaro non potrà mai essere un problema, ma solo una soluzione. Magari apparentemente nascosta, ma sempre e solo una soluzione.

Eppure, nella prima mezz’ora dell’Olimpico in campo c’era un’Inter che non lasciava presagire questa vittoria trionfale. Una manovra strozzata sulla trequarti, il dominio territoriale lasciato nelle mani della Lazio, occasioni da gol nemmeno per sbaglio. Un’Inter che ricalcava quella di Leverkusen, che dava l’impressione di non poter mai sbloccare il risultato. Parecchi duelli persi in mezzo al campo, pochissimi palloni in profondità. Lautaro e Thuram erano in campo ma non trovavano il movimento giusto, non dettavano le soluzioni necessarie per lo sviluppo del gioco offensivo. Inzaghi si sbracciava a bordo campo, chiedendo ai suoi centrocampisti di far girare il pallone, ascoltato quasi solo da Barella, molto meno dagli altri.

Capacità di sofferenza, ricerca delle soluzioni alternative e qualità tecnica elevatissima. Questi sono i punti di ripartenza dell’Inter dopo la sconfitta di Leverkusen che era suonata come un pesante ridimensionamento. È servita mezz’ora di assestamento all’Olimpico, qualche pizzicotto della Lazio che non riusciva a dare sberle, punzecchiature che hanno risvegliato l’anima della grande squadra, che al di là di qualche inceppatura dei suoi attaccanti sta comunque disputando una stagione di alto livello su tutti i fronti. Prima o poi tornerà anche Lautaro allora per gli avversari le notti pre-gara saranno un po’ meno tranquille.