"Voglio entrare nel mondo del calcio. Questo è uno sport di squadra giocato da singoli. Voglio diventare preparatore atletico e mettere la mia esperienza al servizio di un ambiente nuovo". Chi vuole dar una svolta alla propria vita è Alex Schwazer che, dopo aver terminato la squalifica per la positività all'antidoping prima delle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016, è pronto a rientrare nel mondo dello sport da una nuova porta.
L'ex marciatore altoatesino si è lasciato alle spalle l'esperienza nell'atletica leggera, soprattutto dopo il tentativo di rientro avvenuto la scorsa estate ad Arco di Trento. Un modo che lo ha portato ad allontanarsi anche dal suo ex allenatore Sandro Donati, tornato in FIDAL dopo diversi decenni: "Voglio uscire dai soliti schemi. Credo molto nell’interscambio di opinioni tra varie discipline. Se stai sempre nel tuo ambiente e vedi sempre le stesse cose non vai oltre - ha commentato Schwazer in un'intervista a La Repubblica -. La mia strada è un’altra. Sento dentro di me una cosa che mi motiva fortemente, e quando è così io vado dritto. Donati è stato un precursore in quello che voglio fare io: ha allenato atleti di sport molto diversi. Questo sta avvenendo sempre più spesso: nel ciclismo, ad esempio, la Visma di Vingegaard ha preso l’allenatore del nuotatore Leon Marchand, la Red Bull di Roglic il mental coach di Verstappen".
Alla vigilia del suo quarantesimo compleanno, Schwazer è tornato a parlare di doping e soprattutto dell'influenza che la giustizia sportiva può avere sulla carriera degli atleti. Il tutto alla luce di quanto sta accadendo al suo conterraneo Jannik Sinner, alle prese con il ricorso per il ricorso della WADA: "Il Clostebol è l’esempio classico di come le sanzioni non siano uguali per tutti. Sinner può permettersi di difendersi da solo, altri sono morti sportivamente in silenzio, condannati per la stessa sostanza e modalità assai simili. Jannik è certamente innocente e gli innocenti non devono mai prendere squalifiche: ma essere innocenti o no, a livello di giustizia sportiva e antidoping, conta zero. La politica è tutto, in questo mondo - ha aggiunto l'ex atleta -. La Fidal è sempre restata in silenzio per tutelare il resto degli atleti. È una scelta: se alzi la voce possono esserci ritorsioni. E il motivo è sempre quello: c’è troppa politica nello sport".
Per chiudere non rimane che una stoccata alla WADA con cui Schwazer ha combattuto una lunga battaglia a partire proprio dal luglio 2016 fra ricorsi e perizie riguardanti i controlli svolti: "La Wada si è chiesta a un certo punto: ammettiamo che c’è stato un errore o restiamo sulla nostra linea? La manipolazione delle provette è un evento possibile, come abbiamo visto con i russi alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014. E poi c’è gente che per la stessa sostanza prende un anno, due, otto o anche niente - ha concluso il bolzanino -. La disparità è anche economica: il sistema costa troppo, non puoi difenderti. Una persona normale molla anche se non vorrebbe".