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Inter, si fa presto a dire dieci: Lautaro è un "tuttoattaccante"

Ci sono gli attaccanti, i numeri 10 e poi ci sono quelli che sanno fare tutto

di Enzo Palladini

Si fa presto a dire “attaccante”. Ce ne sono di tutti i tipi: alti, bassi, prime punte, seconde punte, opportunisti o specialisti degli assist. Bravi, bravini, mestieranti. Però ci sono anche quelli che sanno fare tutto. Lautaro Martinez da Bahia Blanca, per esempio. Nel suo repertorio ci sono tutti i tipi di gol: destro, sinistro, testa, classe o potenza. Ma questo sarebbe niente. Attaccanti che fanno gol ce ne sono tanti, non necessariamente fuoriclasse. Poi ci sono quelli che sanno fare tutto. Come canta Ivano Fossati, uomini sempre poco allineati, li puoi pensare nelle strade di ieri, se non saranno rientrati. Li puoi trovare, sempre, se sei un loro compagno di squadra. Per gli avversari, invece, spesso è un problema. Per niente facile.

Si fa presto a dire dieci, o come dicono in Argentina, “diez”. Lautaro lo indossa per sottolineare meglio il suo carisma, Diego Maradona lo vestiva perché lo considerava la sua seconda pelle, che avesse uno sfondo azzurro o biancoceleste. Nessuno metterà mai a confronto Lautaro e Diego, per carità, epoche diverse, regole diverse, compiti differenti. Ci sono però due punti di contatto incontrovertibili tra il campionissimo del passato e il campione di oggi: 1)la capacità di farsi amare incondizionatamente dai compagni di squadra; 2)la dedizione totale al gruppo. Nessuno si è mai permesso di mettere in discussione la fascia da capitano che è stata consegnata a Lautaro, così come ai tempi di Diego fu Peppe Bruscolotti a cedere senza fiatare il simbolo della leadership. I giocatori dell’Inter sono disposti a tutto per il loro capitano, durante il periodo di digiuno da gol hanno rinunciato spesso a conclusioni personali mediamente semplici per dare una chance in più al capitano in difficoltà. In tanti hanno giustamente sottolineato la bellezza dell’azione corale che ha portato al 2-1 contro il Bologna. Tutto vero. Ma quell’azione è riuscita così bene proprio perché là davanti c’era il capitano, la palla ha seguito quelle traiettorie precise proprio perché tutti, soprattutto Dimarco, sapevano che Lautaro si sarebbe fatto trovare lì. 

In Arabia, dopo la semifinale di Supercoppa contro l’Atalanta, Simone Inzaghi disse: “Lautaro non sarà mai un problema”. Quella sera aveva sbagliato molto, ma solo in fase con conclusiva. La sua gara era stata di una generosità senza limiti dal punto di vista fisico. Appunto, senza limiti. Un alibi sufficiente per qualche gol sbagliato, soprattutto dopo una vittoria come quella. Però, così come si fa presto a dire “attaccante” o “diez”, si fa anche presto, secondo i tifosi, a dire “generosità”. Da un attaccante si aspettano i gol e non i recuperi che tanto piacciono ai loro allenatori. Da un numero dieci si aspettano le magie e i colpi di tacco. Da un attaccante con il numero dieci sulle spalle si aspettano i gol e i giochi di prestigio. Lautaro è il primo a saperlo, ma nei suoi anni italiani ha raggiunto anche una totale maturità, che gli consente non solo di fare, ma anche di dire le cose giuste al momento opportuno. Dipinge un calcio superiore, senza mai uscire dai margini.

Se Maradona era un “tuttocampista”, definizione coniata vent’anni dopo da Ancelotti per Ronaldinho, Lautaro è un “tuttoattaccante”, un giocatore che in pochi secondi può passare da un recupero al limite della propria area a un’azione pericolosa in area avversaria, che sa giocare di sponda ma sa anche correre per quaranta metri con la palla al piede senza che gli portino via il pallone. La partita contro il Bologna ha dimostrato ancora una volta quanto Lautaro sia importante per questa squadra: uscito lui a un quarto d’ora dalla fine, si è spenta la luce. Con Taremi in campo, nonostante la buona volontà, non è la stessa cosa.