In una sosta che vedrà come perno assoluto il tema del futuro di Marco Giampaolo - con il triumvirato Maldini-Boban-Massara pronto ad approfittare della pausa per la Nazionale per prendere decisioni importanti - la vera luce in Casa Milan ha un nome e cognome su tutti. Il nome è Pepe, che di pepe ne ha anche messo sia per ravvivare la trasferta di Genova sia per svegliare i propri compagni; il cognome è Reina, vero e proprio sovrano d’esperienza in un gruppo ancora più sprovveduto di quanto si potesse pensare alla vigilia della stagione. Solo i leader, quelli veri, riescono a rialzarsi in meno di 90’ dopo aver regalato agli avversari un gol che avrebbe tagliato le gambe a chiunque.
Solo i leader veri riescono a spronare i compagni, pur confinati tra i pali di una porta. Solo i leader autentici fanno la differenza nei momenti clou: il rigore provocato a ridosso del novantesimo non viene disinnescato casualmente. Quella parata è un campionario di bravura, prontezza, posizione. Novantadue chilogrammi su quasi un metro e novanta di altezza. Il tutto a 37 anni, compiuti il 31 agosto scorso. Insomma, a Genova Pepe Reina è stato allenatore in campo. I maligni dicono sia anche stato l’allenatore del Milan più credibile della serata. Le sue parole, prima e dopo la partita, hanno ricalcato (e non di poco) la garra di marca “gattusiana” ed è evidente proprio da questi dettagli come, a Milanello, si senta ancora la mancanza del tecnico che l’anno scorso mancò la Champions quasi al fotofinish. «Sorpresa, concentrazione, errore, dispiacere, responsabilità, orgoglio, frustrazione, allegria e alla fine 3 punti – le parole del portiere su Twitter subito dopo il match –. Il calcio oggi mi ha “regalato” tutto ciò ed è per questo che amo questo lavoro». E ancora: «Siamo consapevoli che dobbiamo migliorare, lavoreremo tanto perché sia sempre così.
Ma oggi sono contento per la reazione della squadra in un momento complicatissimo. Siamo questi e sputeremo sangue senza mai mollare, al di là degli errori, delle sconfitte e delle vittorie». «Siamo questi e sputeremo sangue». Aria fresca per i tifosi. Aria di montagna se rapportata a certe parole dello stesso Giampaolo: dalla sterile giustificazione sulla scelta di Calhanoglu e Piatek come titolari all’altrettanto improbabile motivazione per cui avrebbe poi optato per i cambi con Leao e Paquetá. Su tutte (e qui ci ripetiamo), le parole riservate a Suso, incensato da leader a tal punto che nella ripresa di Genova - occhi nostri - prima dell’uno-due Theo-Kessie veniva letteralmente ignorato da Bonaventura. Jack, proprio con Leao e Paquetá, presidiava la zona di campo dove si stava concentrando il 90% del gioco rossonero. E dove, non a caso, sono partite le azioni che hanno poi portato al ribaltamento del risultato in sei minuti. Insomma serve chiarezza e trasparenza, ancora una volta. E, in certi casi, non ci si può certo giustificare dietro punti di vista o visioni astruse del calcio. Reina, oggi, è leader agli occhi dei tifosi proprio perché ha un pensiero lineare, è conscio dei limiti di un gruppo in cui è secondo portiere. Riserva lui, che ha vinto undici trofei, tra cui il Mondiale spagnolo del 2010. Lui, che sa bene come si fa a vincere.