Ivan Gazidis, in questi 15 mesi, non si è fatto vedere più di tanto. San Siro, qualche conferenza, qualche evento sporadico. Insomma, Milano non è diventata la sua città e lo si intuisce bene tramite il suo italiano, che infatti non c'è, non esiste. Nello splendido isolamento dal mondo che contiene anche il club da lui amministrato e chiuso nei suoi uffici a Casa Milan, Gazidis non ha forse ancora bene inquadrato il popolo rossonero, la sfera dei milioni di supporter che non sarà tutta composta da eletti, ma che tantomeno non porta una sveglia al collo o ha impresso la parola “frescone" sulla fronte, a mo’ di banner. Non è una platea babbea, o forse ė meglio dire non lo è più, perché da tempo si è risvegliata causa delusioni, rabbia, disillusioni, tradimenti, prese in giro.
L’ultimissima proprio targata Gazidis, guarda un po'. Gazidis che chiede ai milanisti, in un contesto già teso di suo - la presentazione alla stampa di Stefano Pioli -, pazienza e tempo in cambio della riconoscenza che si deve a lui e ai suoi datori di lavoro per averli salvati dall'insolvenza, dal fallimento che avrebbe comportato la ripartenza dalla Serie D. Questa mister Ivan può giusto raccontarla la sera a cena con gli amici per farsi due risate, anche se non fa ridere. Il fallimento e la ripartenza dai dilettanti a causa di un'operazione concordata in questi termini fin dal principio – e quando si parla di principio si intende il passaggio di proprietà tra Berlusconi e “Yonghong Li" (scusate, le virgolette non riesco proprio a evitarle) - 340 milioni prestati non all’A.C. Milan, ma al presidente virgolettato, che casualmente ha lasciato in pegno per questo debito il 100% delle azioni societarie. In tutto questo, Gazidis chiosa facendo capire che Elliott, un fondo che ha il core-business nell'acquisto a basso costo di grandi aziende per poi rivenderle a peso d'oro, avrebbe potuto mandare tutto in malora non coprendo i buchi dello pseudocinese, facendo fallire il Milan, svuotandolo di ogni valore e bruciandosi dunque in mano il bene appena acquisito e i soldi in essi immessi.
Ma mi faccia il piacere, per dirla alla Totò. È una grande, immensa, sleale bugia dire che il club fosse sulle soglie del Tribunale come ai cari vecchi tempi di Farina, protagonista di un identico refrain su cui negli ultimi e grami tempi marciavano parecchio anche Galliani e Berlusconi. Da queste parti, caro mr. Ivan, la lettera D sta per Dirigenza, che effettivamente si sta degradando e fa cose da Serie D: come per esempio quella di sventolare il fantasma del crac per accusare di irriconoscenza (e in qualche misura “avvisare") una piazza che ha mille e un motivo per farsi girare i cosiddetti. Altro che sventolare la bufala del grande sacrificio, dello sforzo titanico fatto al buio: pensiamo al Milan preso a quella cifra, iniettato – ma non troppo – di altro denaro, facciamo un impegno, una esposizione che possa arrivare intorno al mezzo miliardo; poi, grazie soprattutto alla grande operazione stadio e soprattutto immobili della nuova zona adiacente riqualificata, la vendita che si potrebbe fissare su un prezzo tra i 700 e gli 800 milioni: se si fanno due conti, trattasi di un margine favorevole di circa il 50%. “Se non c'eravamo noi”.
Certo, grazie arca. Voi c’eravate e ci siete per questi motivi, dottor Ivan, e, La prego, ricordi anche che i fatturati e conseguentemente il valore di una società di calcio dipendono (parecchio) anche dai risultati sportivi: per cui, sarebbe cosa buona e giusta che Gazidis per primo, umilmente, lavorasse ancora di più per capire gli errori ed emendarli, costi quel che costi. E che fosse un costante punto di riferimento per i due vertici del board tecnico, che all’inesperienza e ai conseguenti, dannosi inciampi devono aggiungere anche la perenne “linea editoriale” del low cost. L'operazione Pioli non ha per nulla il profumo di un cambio di passo in questo senso. Non resta che sperare, come sempre. Perché la paura è che questo mancato Milan di Serie D cada ancora, e dopo la D c’è la E, la E del campionato di Eccellenza. La E di Elliott.